La dipendenza affettiva e la co-dipendenza

Mens sana in corpore sano è una famosa locuzione latina tratta da un capoverso di Giovenale, la riporto qui perche’ penso che ci sia una strettissima connessione tra il benessere mentale e la salute del corpo e che vadano trattate avendo sempre in mente questa correlazione.C’è un sottile equilibrio tra il benessere mentale, quando si è appagati rispetto a ciò che si ha e ai propri bisogni, e una situazione di disagio in cui si è in carenza e ci si riconosce in uno stato di sofferenza, l’essere umano è in continuo cambiamento e difficilmente rimane a lungo in uno stato di omeostasi, pertanto, ricerca sempre nuovi equilibri. Quando la condizione del soggetto non gli consente in autonomia di uscire dal disagio e la sofferenza si acutizza al punto da incrinare lo svolgimento abituale della vita allora possiamo parlare di disturbo mentale conclamato che può essere temporaneo o stabilizzato in base alla durata. E’ bene sottolineare che non esiste una netta distinzione tra salute e malattia mentale, fanno parte di un continuum, spesso esistono dei tratti di patologia in soggetti sani, tratti reversibili che non dogmatizzano una persona con una diagnosi ferrea.Il tema della dipendenza affettiva e’ molto sentito e discusso negli ultimi anni 

 in cui i maltrattamenti domestici  e i problemi legati ad alcune relazioni tossiche stanno avendo una rilevanza mediatica molto significativa. Spesso i comportamenti legati ad un estremo attaccamento nei confronti dell’altro derivano  da mancanze ataviche nella vita passata.

Dal punto di vista psicodinamico si possono formulare varie ipotesi per cui un soggetto sviluppi tali dipendenze, è verosimile che nella storia di questi pazienti sia stato presente un modello pervasivo di rinforzo genitoriale sulla dipendenza che ha agito sulle varie fasi dello sviluppo (Head, 1991), famiglie caratterizzate da una ridotta espressività ed elevato controllo. Spesso alla base vi è un attaccamento insicuro con pattern di attaccamento invischiato.

I 4 stili di attaccamento studiati e resi noti da Bowlby  nella sua teoria sull’attaccamento sono molto interessanti per cogliere qual è il modo in cui la persona si è sentita nei suoi primi anni di vita (e forse ancora prima), quando ha iniziato ad avere le prime relazioni significative, quando ha iniziato a distinguersi come altro da se’ rispetto alla mamma (o al suo sostituto) che è la figura di attaccamento primario.  Possiamo affermare che l’attaccamento influenza in modo molto significativo la vita della persona. La teoria di Bowlby postula l’esistenza nell’uomo, di una tendenza innata a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta, ogni volta che si costituiscono: situazioni di pericolo, dolore, fatica e solitudine.

In questo articolo mi soffermero’ sul concetto di codipendenza. Questo termine e’ nato negli Stati Uniti negli anni Cinquanta dello scorso secolo, la sua origine si deve ai gruppi di Alcolisti Anonimi, quando i loro parenti durante il percorso riabilitativo si resero conto che erano loro stessi vittime di un disturbo emotivo che richiedeva a sua volta un trattamento specifico. Parliamo quindi di una patologia all’interno di un sistema famiglia disfunzionale.

In generale  una persona viene definita (Wright e Wright) codipendente  quando rimane in una relazione con un partner abusante e manipolatore, con grande impegno e fatica, nonostante l’assenza di soddisfazioni personali e gratificazioni. Successivamente gli stessi autori distinguono due tipi di codipendenza quella endogena dove il fattore predisponente a sviluppare codipendenza è proprio avere un familiare alcolista e quella esogena che si riferisce allo stile comportamentale e relazionale di affrontare il problema della convivenza con un partner alcolista.

 Il meccanismo di difesa primario per queste persone è la negazione, si crea una serie di giustificazioni per le quali tende a svalutare i propri pensieri e le proprie emozioni e si isola sempre più per evitare di confrontarsi con gli altri. Le sue manifestazioni sono:

–  Accettare passivamente il maltrattamento del partner che non affronta la problematica personale

–  Evitare la relazione con persone al di fuori del nucleo familiare

–  Entrare in uno stato di confusione nel cercare di accettare l’inaccettabile

–  Rispondere con rigidità quando la situazione sfugge al suo controllo

–  Giustificare le mancanze del partner e cercare di imporre agli altri un’immagine migliorativa di lui/lei

–  Minimizzare il problema con il partner

In aggiunta al quadro precedentemente descritto è importante aggiungere che spesso nella persona si è verificato un processo evolutivo incompleto, caratterizzato da scarsa integrazione di parti del se’, che avviene quando una persona incarna prematuramente ruoli di responsabilità. Spesso avviene in caso di inversione di ruoli con i genitori per cui il bambino/ragazzo rimane intrappolato in una simbiosi irrisolta mettendo in stand by la soddisfazione dei propri bisogni di sostegno, cura, protezione e amore. La persona impara a non esprimere le proprie emozioni e incarna l’atteggiamento da “salvatore” perché’ l’unico modo per sentirsi amata/o.

Interessante, infine, il punto di vista della scrittrice Ameya Gabriella Canovi del libro “Di troppo amore. Fuori dal labirinto della dipendenza affettiva”, che distingue il disturbo dipendente di personalità da un male più recente che riguarda solo la sfera relazionale. Il primo coinvolge molti ambiti della persona che vive con ansia molte situazioni, disturbo invalidante che evidenzia paure, insicurezze in ogni sfera della vita. Il secondo, che coinvolge la sfera relazionale, potrebbe essere inserito all’interno del DSM tra le new addictions (come la dipendenza da gioco d’azzardo, da lavoro o dallo shopping) parla del dipendente affettivo (con percentuale di donne superiore agli uomini), la persona che ne è affetta sembra avere un nodo irrisolto soprattutto per quanto riguarda la relazione, mentre è in grado di funzionare in maniera ottimale in tutti gli altri contesti. Sono persone afflitte da un’idea dell’altro come ancora di salvezza. Un bambino illuso e vezzeggiato in eccesso potrebbe non sviluppare la tolleranza alla frustrazione perché’ non l’ha mai sperimentata, questo è uno dei mali delle moderne generazioni. Questo squilibrio relazione sembra nascere nel cuore della famiglia di origine, sempre nel legame di attaccamento, per poi svilupparsi nel tessuto sociale e culturale.

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